Chiara Franzil - 18-03-2006
Sono arrivata in Italia ormai ben cinque anni fa, lasciandomi alle spalle quella che è la capitale dell'Europa e che per molto tempo è stata anche la mia casa. Dalla città di luci e colori che Bruxelles ha l'orgoglio di essere, ad un paesino dalle sette colline boschive. Dalla Scuola europa alle Medie di Buja. Un passaggio tutto meno che graduale. Un passaggio duro, difficile, che mi ha aperto gli occhi su un'altra realtà. Su altre persone. Su un'altra concezione della vita.
Poi, due anni fa, sono arrivata al Copernico, ammaliata da quelle bandiere ondeggianti al vento leggero che sapeva di novità e di passato. Mi sono fermata davanti all'entrata tinta di verde, e l'immagine della Scuola europea mi è tornata nella mente. La Scuola europea, con i suoi orari modificabili, con i suoi laboratori invidiabili, con le sue palestre dalle dimensioni olimpioniche, con quella grande relazione di collaborazione tra i suoi membri. Lo ammetto un po' anche con i volti sorridenti dei miei amici, provenienti dai vari paesi d'Europa. Sono rimasta affascinata da quella realtà che sembrava così simile a quella che avevo lasciato, dalle possibilità che a Buja non avevo avuto, da quegli anni di attività innovative che mi aspettavano, da quel tanto agognato sabato a casa, dall'opportunità di studiare quel francese che mi mancava tanto. La mia scelta forse era gia fatta, prima ancora di entrare. Forse addirittura fin dai quei primi Campionati di Giochi Matematici a cui avevo partecipato e che si erano svolti proprio lì. Pareva quasi un segno del destino.
L'inizio è stato difficile. Lasciare un'abitudine costa sempre fatica, anche quando questa non ci è congeniale. Poi, piano piano, sono entrata nel meccanismo di quella che ormai è diventata la mia scuola, ma superare la grande delusione iniziale è stato faticoso. Il Copernico non è la Scuola europea. Scoprirlo è stato come andare a sbattere contro un vetro, credendo che lì non ci fosse altro che un'uscita. Ma sono andata avanti. Perché nonostante tutto ogni tanto posso ancora notare certe somiglianze, perché nonostante tutto è una buona scuola, non troppo chiusa su quelle tradizioni che non ci permettono di guardare con innovazione al futuro. Perché in fondo mi ci sono affezionata. Anche se molte promesse non sono state mantenute, anche se sono convinta che si potrebbe fare molto di più, anche se a volte torno a casa arrabbiata.
Non ho mai detto niente, finche non mi sono imbattuta in un articolo di George Logan Vega.
Poi, due anni fa, sono arrivata al Copernico, ammaliata da quelle bandiere ondeggianti al vento leggero che sapeva di novità e di passato. Mi sono fermata davanti all'entrata tinta di verde, e l'immagine della Scuola europea mi è tornata nella mente. La Scuola europea, con i suoi orari modificabili, con i suoi laboratori invidiabili, con le sue palestre dalle dimensioni olimpioniche, con quella grande relazione di collaborazione tra i suoi membri. Lo ammetto un po' anche con i volti sorridenti dei miei amici, provenienti dai vari paesi d'Europa. Sono rimasta affascinata da quella realtà che sembrava così simile a quella che avevo lasciato, dalle possibilità che a Buja non avevo avuto, da quegli anni di attività innovative che mi aspettavano, da quel tanto agognato sabato a casa, dall'opportunità di studiare quel francese che mi mancava tanto. La mia scelta forse era gia fatta, prima ancora di entrare. Forse addirittura fin dai quei primi Campionati di Giochi Matematici a cui avevo partecipato e che si erano svolti proprio lì. Pareva quasi un segno del destino.
L'inizio è stato difficile. Lasciare un'abitudine costa sempre fatica, anche quando questa non ci è congeniale. Poi, piano piano, sono entrata nel meccanismo di quella che ormai è diventata la mia scuola, ma superare la grande delusione iniziale è stato faticoso. Il Copernico non è la Scuola europea. Scoprirlo è stato come andare a sbattere contro un vetro, credendo che lì non ci fosse altro che un'uscita. Ma sono andata avanti. Perché nonostante tutto ogni tanto posso ancora notare certe somiglianze, perché nonostante tutto è una buona scuola, non troppo chiusa su quelle tradizioni che non ci permettono di guardare con innovazione al futuro. Perché in fondo mi ci sono affezionata. Anche se molte promesse non sono state mantenute, anche se sono convinta che si potrebbe fare molto di più, anche se a volte torno a casa arrabbiata.
Non ho mai detto niente, finche non mi sono imbattuta in un articolo di George Logan Vega.
leggi (1 commento/i)